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La Storia di Paestum

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Preistoria e protostoria: prime tracce di insediamenti umani

Il territorio di Paestum è abitato già a partire dall’età della pietra

Le tracce più antiche di presenza umana nel territorio in cui sorgerà Poseidonia risalgono al Paleolitico Medio, vale a dire a oltre 35.000 anni fa. Si tratta soprattutto di utensili in selce, come punte di freccia e raschiatoi, rinvenuti in prossimità del Tempio di Hera (la cosiddetta Basilica). L’epoca della preistoria pestana maggiormente documentata dal punto di vista archeologico è tuttavia l’Età del Rame (3800-2300 a.C.), che a Paestum si identifica con la cultura del Gaudo, dal nome di una contrada situata a poco più di un chilometro a nord della città. Qui è venuta alla luce un’estesa necropoli, le cui tombe presentano uno schema ricorrente: le sepolture si articolano in una o due camere sepolcrali di forma ellittica scavate nel banco roccioso (da qui la denominazione di “tombe a grotticella”), chiuse da una grande lastra di travertino, all’interno delle quali si accedeva mediante un pozzetto. Oltre alle ossa dei defunti qui inumati e ai resti di animali riconducibili a offerte di cibo per i morti, le sepolture del Gaudo hanno restituito anche numerose forme ceramiche come olle, brocche, tazze ed esemplari di askos, un vaso di notevoli dimensioni e dal collo decentrato.

 

Più esigua è la documentazione archeologica relativa all’Età del Bronzo (2300-900 a.C.) e all’Età del Ferro (900-725 a.C.); la prima ben rappresentata da asce di bronzo e fibule ad arco, e l’Età del Ferro da urne cinerarie con ossa del defunto provenienti dall’insediamento di Capodifiume a nord-est di Paestum.

Poseidonia: la fondazione della città greca

Il principio di una storia millenaria

Fonte principale delle nostre conoscenze in merito alle origini di Poseidonia è un passo dello storico greco Strabone (I secolo a.C. – I secolo d.C.). L’autore ricorda di come la città fosse stata fondata da coloni greci provenienti da Sibari (a sua volta colonia achea fondata nell’VIII secolo a.C.), i quali, dopo aver realizzato un insediamento sulla costa, si sarebbero successivamente spostati verso l’interno per dar vita alla nuova città. Il nome prescelto per quest’ultima, Poseidonia, sembra suggerire una particolare devozione dei coloni nei confronti di Poseidone, dio del mare; un dato questo che sembra suffragato dalla documentazione numismatica, che, sin dalle prime coniazioni della seconda metà del VI secolo a.C., riprodusse l’immagine del dio stante e con tridente in mano sulle monete in argento.

 

I dati archeologici, consistenti principalmente in frammenti di materiale ceramico arcaico del VI secolo a.C., consentono di datare la fondazione di Poseidonia intorno al 600 a.C. A partire da questo momento la città cominciò a dotarsi sia di edifici di carattere religioso e politico sia di nuovi spazi pubblici tipici di una polis greca. Furono così eretti templi in onore delle divinità, come quello di Athena (intorno al 580 a.C. e poi ricostruito verso il 500 a.C.), il tempio di Hera (560-520 a.C.) e il tempio cosiddetto di Nettuno (460 a.C.). Sorse inoltre la piazza principale, l’agora, dove furono realizzati edifici simbolo della nuova città: l’Heroon, il monumento commemorativo dell’eroe fondatore della città (510 a.C. circa) e l’Ekklesiasterion, il luogo di riunione dei cittadini liberi, costruito intorno al 480 a.C.

La dominazione lucana di Poseidonia

Multiculturalismo in epoca lucana

Sempre Strabone, nello stesso passo relativo alla fondazione di Poseidonia, ricorda anche che la città fu conquistata in un secondo momento dai Lucani prima e dai Romani poi. I Lucani erano probabilmente una compagine multietnica formatasi intorno al V secolo a.C. a partire dalla presenza di mercenari nella piana del Sele. Intorno alla fine del V secolo a.C. essi conseguirono il controllo di Poseidonia, sostituendosi alla classe dirigente greca. Le testimonianze archeologiche di questo periodo sono estremamente ricche e ben rappresentate dalla pittura funeraria del IV secolo a.C. e dell’inizio del III secolo, che raffigura individui dell’élite locale ed elementi ornamentali tradizionali. Anche la produzione ceramica denota, in alcuni esemplari, un’altissima qualità, in particolare nei vasi firmati da rinomati artisti come Assteas e Python.

 

Nonostante il mutato regime politico, Poseidonia conservò il suo volto di città greca, contrassegnato dall’aspetto pressoché intatto che conservarono i monumenti e gli spazi pubblici più rappresentativi della polis greca, come è il caso dei santuari urbani e dell’agora con l’Heroon e l’Ekklesiasterion. Una nuova lingua tuttavia, l’osco, fu introdotta dai Lucani all’interno della vita pubblica cittadina, come testimoniato da una stele con iscrizione in questa lingua rinvenuta all’interno dell’Ekklesiasterion. L’epigrafe, una dedica in osco a Zeus Agoraios, racconta di come un edificio e un culto religioso del passato greco della città avessero un ruolo ancora importante in epoca lucana.

Da Poseidonia a Paestum

La città greca cambia il suo volto

Una data significativa nella storia cittadina è rappresentata dal 273 a.C.: è in quest’anno difatti che i Romani istituirono una colonia di diritto latino di nome Paestum nei territori di quella che fu Poseidonia, impiantandovi famiglie di veterani cui furono distribuiti lotti di terreno. La formula giuridica garantiva una certa autonomia alla città, nel quadro di un trattato di alleanza con Roma che prevedeva anche il diritto di commerciare con i nuovi dominatori e di sposare donne romane. A seguito di importanti eventi storici e del mutare delle relazioni con Roma, mutò anche lo status giuridico di Paestum: divenuta municipium con diritto di cittadinanza per i suoi cittadini nel 90 a.C., Paestum tornò a essere colonia romana nel 71 d.C., allorquando Vespasiano procedé all’assegnazione di terreni pubblici ai veterani della flotta imperiale di Miseno.

 

Se durante la fase di dominazione lucana la città aveva conservato per grandi linee l’assetto monumentale che i coloni greci avevano definito secoli addietro, la neonata Paestum andò incontro a trasformazioni profonde: la documentazione epigrafica attesta un uso diffuso della lingua latina, mentre l’erezione di monumenti sacri e civili (è il caso del tempio della Pace, del Comizio, della Curia, della Basilica) e la nuova definizione degli spazi pubblici mediante la costruzione del Foro mutarono radicalmente l’aspetto della città. Il seppellimento, inoltre, di monumenti altamente rappresentativi della storia di Poseidonia come l’Heroon e l’Ekklesiasterion ribadì la volontà dei nuovi dominatori di riscrivere la storia della città.

Età tardoantica e medievale

L’abbandono della città

L’età tardoantica e quella medievale sono le epoche meno conosciute della storia della città, a causa della carenza di testimonianze archeologiche. Il progressivo e lento sgretolamento dell’impero romano a partire dal IV secolo a.C. determinò una forte crisi economica che colpì anche Paestum. L’estensione dell’abitato si contrasse notevolmente con il conseguente trasferimento della popolazione verso le zone più interne in altura. Le paludi si estesero nell’area in pianura dove sorgeva Paestum, con conseguente diffusione della malaria. I templi continuarono a imporsi nel paesaggio pestano in tutta la loro maestosità, ma persero il loro valore sacrale e divennero luoghi di raccolta del bestiame.

 

Da un punto di vista archeologico particolarmente interessante per l’epoca tardoantica è un esemplare di tabula patronatus (IV secolo d.C.), vale a dire una tavoletta in bronzo, rinvenuta nei pressi del Tempio della Pace, in cui la cittadinanza conferisce a un certo Elpidio il titolo di protettore (patronus) della città.

La centralità della città durante il Grand Tour

“Le più antiche architetture sopravvissute nel mondo fuori l’Egitto”

Le parole di Winckelmann descrivono bene lo stupore di un colto viaggiatore del XVIII secolo di fronte alle architetture templari perfettamente conservate di Paestum. Proprio tra Settecento e Ottocento, nell’ambito di una nuova temperie culturale contrassegnata da grande interesse e curiosità verso le antichità greco-romane, la città campana divenne una delle mete obbligate del Grand Tour. Con questo termine si fa riferimento a un lungo viaggio attraverso paesi europei, specialmente Italia, Grecia e Francia, che giovani esponenti di facoltose famiglie intraprendevano come parte integrante della loro educazione. Il Grand Tour senza dubbio contribuì a una “riscoperta” del sito, anche se oggi si tende a ridimensionare la portata della parola “riscoperta”, dal momento che i templi erano stati visibili anche nei secoli precedenti. Ciò non sminuisce, tuttavia, l’importanza che tali viaggi ebbero nella diffusione della conoscenza di Paestum presso il grande pubblico: è difatti in questi anni che Giovanni Battista Piranesi realizzò le famose incisioni che ritraggono i templi dorici di Paestum e che letterati del calibro di Winckelmann e Goethe visitarono la città.

Dai primi scavi alle straordinarie scoperte

I siti archeologici nel corso del Novecento

I primi scavi sistematici a Paestum cominciarono nei primi anni del ‘900 sotto la direzione dell’allora soprintendente Vittorio Spinazzola e si concentrarono principalmente nell’area del Santuario Meridionale, dove furono portate alla luce anche le strade principali della città.

Una stagione di grandi scoperte fu inaugurata alcuni decenni più tardi, quando, nel 1934, Paola Zancani Montuoro e Umberto Zanotti Bianco annunciarono la scoperta del Santuario di Hera sul fiume Sele. Le loro ricerche, osteggiate dal regime fascista del tempo, continuarono negli anni successivi. Gli straordinari ritrovamenti, tra i quali vanno annoverati i due cicli di metope dell’Heraion, evidenziarono all’allora soprintendente Amedeo Maiuri la necessità di realizzare un museo a Paestum che potesse custodire gli eccezionali reperti. Bisognò, tuttavia, attendere la fine della guerra perché il museo potesse essere inaugurato nel 1952.

 

Le grandi scoperte nel territorio pestano non si erano tuttavia concluse: nel 1943, nell’ambito dello sbarco degli alleati a Salerno, fu portata alla luce l’importante necropoli di Gaudo, mentre le ricerche nel territorio extraurbano pestano fecero emergere numerose necropoleis, le cui tombe hanno restituito importanti dati archeologici; tra queste si annovera la famosa Tomba del Tuffatore, rinvenuta nel 1968 dall’allora soprintendente Mario Napoli.

Nel 1998, Paestum, Velia, la Certosa di Padula e il Parco archeologico del Cilento e del Vallo di Diano sono stati iscritti dall’Unesco nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità.

L’Area Archeologica nella contemporaneità

Nuove fruizioni per nuove contemporaneità

A partire dalle tematiche maggiormente pressanti della contemporaneità, i Parchi archeologici intendono dare voce a una pluralità di prospettive in tutti i settori, dalla ricerca storica alla comunicazione, dalla fruizione alla didattica. Nell’ambito della ricerca continuano le indagini archeologiche, tra le quali si ricorda quella che ha come oggetto il tempietto dorico del V secolo a.C. scoperto nel settore nordoccidentale della città.

 

Attraverso ricerche, mostre e iniziative divulgative si cerca quindi di far emergere storie subalterne e alternative rispetto alla prospettiva maschile-elitaria che ha tradizionalmente improntato la ricostruzione storica della colonizzazione greca. L’impegno dei Parchi è anche rivolto ad approfondire lo studio di fasi storiche della città, come ad esempio l’età romana, finora meno indagate dalla ricerca. Nella fruizione, invece, si mira coinvolgere un pubblico sempre più diversificato, abbattendo barriere fisiche, culturali ed economiche e inaugurando nuovi percorsi di visita.

I Parchi archeologici di Paestum e Velia sono un istituto del Ministero della Cultura dotato di autonomia speciale, iscritto dal 1998 nella lista del patrimonio mondiale UNESCO.

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